Grazie al virus la politica ha riacquistato un primato sul paradigma economico.
Stiamo assistendo ad un incrocio nuovo tra più virus (biologico, psichico-mediatico, economico) che rischia di rendere ancora più esteso e profondo il senso di insicurezza e di minaccia del futuro. Da tempo è presente nelle nostre società e nel nostro modello di sviluppo una “violenza virale”, che opera anch’essa per contagio e tende a distruggere le nostre immunità e la nostra capacità di resistenza.
Ci stiamo rendendo conto sempre di più che il vero “paziente zero” da ricercare era la falsa stabilità di accordi internazionali che condannavano paesi come l’Italia ad un processo entropico.
Il virus sembra avere la natura dell’”evento”, di qualcosa cioè che accade ma non è semplicemente un fatto. Sul piano filosofico evento è ciò che per noi è impossibile ma che tuttavia accade. Ci cade addosso e ci richiede un po’ di tempo per realizzare questa perdita e inscrivere la mancanza nel nostro sistema. Per questo l’evento è sempre traumatico. Questo significa che, a differenza del mero fatto, possiede massimamente la caratteristica di produrre effetti. L’evento determina trasformazioni che prima del suo aver luogo non erano possibili, nel senso che non erano praticabili. Ciò che fino a qualche settimana fa era innominabile, ora è diventato pensabile. Per questo ci siamo trovati negli ultimi giorni a definire la situazione che stiamo vivendo come una “occasione”. Perché con questa pandemia ci possiamo proiettare nel futuro che l’evento in qualche modo ha già generato e da immaginare scelte e azioni un tempo impensabili.
Siamo ancora troppo vicini all’evento pandemico e la nuova “realtà” si deve fare strada, visto che al momento ha ancora una esistenza minimale. La situazione è precaria e non possiamo fare previsioni. Il virus è sopraggiunto nel momento in cui nel sentire comune ci si stava persuadendo che la soluzione ai molti problemi fosse nell’erigere muri, nel chiudere vie e tracciare confini, richiamandosi a identità nazionalistiche forti. Non che tutto ciò non avesse una sua legittimità.
Il cosiddetto “sovranismo” (l’etichetta sotto cui vengono riassunte queste rivendicazioni) non era dettato soltanto da razzismi e xenofobie, ma anche da un giudizio di fallimento rivolto al paradigma economico e al progetto europeo nella sua forma solo monetaria. Pur senza offrire vere soluzioni, la rivendicazione di “sovranità” esprimeva in generale un bisogno di protezione nei confronti degli effetti negativi della globalizzazione. Si stava facendo avanti una forza di disincanto che si traduceva di fatto in una richiesta di politica, non più ridotta ad essere calcolo del Pil.
Ora ci si chiede se questa pandemia possa davvero riaprire la storia, rimettendo all’ordine del giorno la questione fondamentale dello sfruttamento economico e dell’ineguaglianza. L’ingiustizia, la corruzione, hanno provocato negli ultimi anni tanta insoddisfazione, ma questa rabbia montante non poteva essere raccolta in un progetto di politica internazionale. Senza una narrazione e senza istituti simbolici in grado di raccogliere e organizzare i potenziali di protesta, i singoli individui non potevano far altro che disperdere le loro energie.
All’inizio della epidemia molti hanno pensato che, passata l’emergenza, ci sarebbero stati piccoli cambiamenti, specie nel campo della sanità. Tutte azioni per permettere al sistema di posporre la sua crisi. Anche la maggioranza delle persone si sarebbe affrettata con un certo sollievo a riprendere i vecchi stili di vita. Almeno in una prima fase, perché poi sarebbero riprese le lamentele sui disastri epocali incombenti. In attesa della successiva crisi.
si potrà sviluppare una nuova immunità di gruppo
Anche ai livelli psichico e sociale, oltre che biologico, si potrà sviluppare una nuova “immunità di gruppo”. Ci sono già alcuni segni evidenti. Grazie al virus la politica ha riacquistato un primato sul paradigma economico. Per via di questa esposizione a rischi inaccettabili (crisi economiche strutturali, crescenti disuguaglianze sociali funzionali al vigente paradigma economico) era già emersa l’esigenza di una politica sovrana, come autodifesa immunologica della collettività di fronte, appunto, ad un eccesso di instabilità.
Ora con l’emergenza virus si è resa ancora più evidente l’importanza del ruolo dello Stato come capacità di decisione e di intervento nel rispondere alla sofferenza economica e psicologica. Il tema classico del protego ergo obligo torna all’ordine del giorno sotto forma di un ricorso necessario al bilancio dello Stato per proteggere i cittadini e l’economia.
Dopo 40 anni sembra di poter dire davvero che l’epoca della governance neoliberista è finita.
Trovandosi nel mare in tempesta di un contagio progressivo e apparentemente inarrestabile, e di una crisi economica inedita che non potrà essere risolta dal mercato, l’umanità dovrà comprendere che, se ha a cuore il suo destino, è alla politica che spetta la decisione finale. Solo così il virus sarà stato un vero evento che costringerà a fare i conti con il fatto che l’esistenza di ciascuno è legata ad un destino ineluttabilmente comune.
Di Fabrizio Spagnol, filosofo e autore di “Cosa si nasconde dietro il bullismo. Saggio sulla formazione complessa”.
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