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Uscire dalla crisi attraverso modelli alternativi

Per uscire dalla crisi serve però un cambio di prospettiva, un altro paradigma che consenta di interpretare in modo nuovo la realtà.

La sensazione di essere come schegge in balia degli eventi in un mondo sempre più disordinato e insicuro è diffusa. Il malessere e il disorientamento sono sentiti in modo ancora più acuto e minaccioso quando gli effetti negativi di ciò che accade in una parte del globo si ripercuotono direttamente in un’altra parte.

Mai come di fronte a fatti avversi, siano essi naturali o artificiali, ci rendiamo conto di cosa significhi globalizzazione. È come se il nuovo millennio ci avesse risvegliato da un torpore in cui siamo caduti quando abbiamo pensato che gli assetti economici egemoni, almeno nelle aree industrializzate, ci avessero messo al riparo da qualsiasi imprevisto. Tutto viene affrontato con un senso di emergenza e di insicurezza.

Il 2008 ha segnato la fine di un ciclo storico, ma si fa fatica ad accettare la conclusione del sogno neoliberista, di un pulsante ecosistema finanziario capace di generare crescita illimitata. Siamo come trapezisti senza rete che hanno abbandonato il loro attrezzo ma non hanno ancora afferrato l’altro che sopraggiunge.

Fuor di metafora, dobbiamo rivedere innanzitutto due aspetti che hanno contraddistinto la forma di scambio della fase che si sta concludendo: la centralità assoluta della finanziarizzazione, che riguarda gli effetti della deregolamentazione e della ingegnerizzazione finanziaria che hanno reso possibile l’estensione dell’accesso al credito e dunque all’indebitamento; ed il consumo come fonte unica del benessere e dell’identità oltre che della crescita economica.

Il sistema economico si struttura storicamente attorno ad una forma specifica di scambio che definisce un punto di equilibrio tra interessi materiali (approvvigionamento delle materie prime, produzione, consumo, organizzazione del lavoro e delle tecnologie), politici (relativi alle linee guida dell’intervento istituzionale su spesa, tassazione, diritti, regole della concorrenza ecc.) e culturali (il piano di idee, simboli, valori, norme, discorsi, immaginari e speranze che sostengono l’impegno degli individui all’intrapresa, al lavoro e al consumo).

L’Italia, in particolare, soffre di una crisi sistemica in cui, come segnalava il Censis, i mondi dei poteri sovranazionali, della politica nazionale, delle sedi istituzionali, delle minoranze vitali, della gente del quotidiano, del sommerso e il mondo della comunicazione sono come “contenitori non dialoganti” che “vivono in se stessi e di se stessi”.

Come è noto ormai a tutti, l’economia capitalistica si nutre di elementi dinamici e caotici destinati però a creare momenti di crisi che lasciano questioni irrisolte che se non vengono comprese tendono ad aggravarsi. Alle nostre spalle c’è un periodo storico che ha sprigionato una straordinaria energia e che ora occorre imparare a gestire.

Per uscire dalla crisi serve però un cambio di prospettiva, un altro paradigma che consenta di interpretare in modo nuovo la realtà. Non si riesce ancora ad intravedere la via d’uscita dalla crisi perché le soluzioni adottate rimangono tutte entro il perimetro delle vecchie ricette riciclate dalle stagioni precedenti ma inadatte a rispondere ai nuovi bisogni.

È proprio sul modo differente di intendere la finanza e il consumo che ruotano le questioni vitali e le opportunità della fase che si apre davanti a noi.

Se negli anni ‘70 fu la stagflazione (un inedito mix di inflazione e stagnazione) a rendere evidente la crisi del vecchio modello di scambio fordista-welfarista, oggi sono le grandi manovre finanziarie che, se pur importanti, si rivelano incapaci di risollevare l’economia (le potenti immissioni di risorse operate dalle banche centrali hanno permesso di risanare i bilanci delle banche e di raggiungere nuovi record negli indici di borsa, ma non hanno ristabilito la crisi di fiducia sul piano dell’investimento e del consumo).

Occorre sapere, pertanto, cosa ci stanno lasciando in eredità gli ultimi decenni, nei quali il mondo è diventato più ricco accentuando però anche le tensioni e le diseguaglianze. E ci riferiamo innanzitutto ai cambiamenti strutturali delle economie dei paesi più avanzati, tra cui forse i più importanti riguardano il piano demografico, con i trend di invecchiamento delle persone, e gli squilibri accumulati nella distribuzione del reddito di un ceto medio sempre più impoverito.

Le possibilità sono ancora aperte. Non esiste una sola via d’uscita, anzi i segnali che si stanno presentando delineano una biforcazione negli scenari di uscita possibile dalla crisi. Da una parte, agiscono forze che spingono per estendere all’intera società la logica economica basata sulla massimizzazione dell’efficienza produttiva e sul controllo centralizzato che, grazie alla sola mediazione tecnica (digitale), è capace di organizzare un’enorme quantità di consumatori costantemente monitorati nei loro gusti e desideri. D’altra parte, è già operante in molte imprese un modello di sviluppo che mette al centro l’idea di sostenibilità, che torna a pensare e progettare (economicamente) in un quadro di risorse limitate, in un contesto dove comincia farsi valere il principio di sussidiarietà circolare tra i tre vertici del triangolo sociale: la sfera degli enti pubblici, la sfera delle imprese e la sfera della società civile organizzata.

In gioco qui è il passaggio da un assetto istituzionale estrattivo, che spinge l’allocazione delle risorse verso le molteplici forme della speculazione finanziaria, ad uno di tipo inclusivo che tende a facilitare l’inclusione nel processo produttivo di tutte le risorse, soprattutto di lavoro, assicurando il rispetto dei diritti umani fondamentali e la riduzione delle disuguaglianze.

Quello che è certo è che il vecchio paradigma non è più in grado di dare risposte alle nuove esigenze. Per cui è il momento di chiedersi cosa è stato e cosa può significare “crescita” nell’economia dei prossimi anni, passando attraverso la ridefinizione della nozione di valore e della sua misurazione. Ed il modo in cui si risponderà a questa domanda deciderà la direzione che prenderà il nostro avvenire.

Di Fabrizio Spagnol, filosofo, autore di “Cosa si nasconde dietro il bullismo. Saggio sulla formazione complessa”

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