In vista della fase 3, ma anche per risolvere questioni presenti nel pre-Covid, occorre ritornare ai fondamenti della psicologia filosofica dei greci per educare giovani e cittadini alla coscienza del proprio valore e delle forze dell’autoaffermazione.
Nell’Iliade la peste ha rappresentato uno dei fattori che ha innescato l’azione epica. Gli antichi greci avevano una spiegazione su questa sciagura (secondo loro opera degli dei come punizione per i torti commessi dagli uomini che avevano peccato di tracotanza), che segna una distanza di mentalità incolmabile con il nostro modo tecnico-scientifico di affrontare tali questioni. Tuttavia qualcosa di molto interessante (al di là del valore letterario della narrazione) è rintracciabile per noi contemporanei nel “rimedio” a questa calamità, qualcosa che si avvia con Omero e che poi è ripreso dalla cultura greca classica. Si tratta di una dimensione psicopolitica che si è fortemente indebolita nella nostra cultura e che potrebbe aiutarci ad uscire dalla crisi decennale, a maggior ragione ora che siamo alle prese con il coronavirus.
Non solo è presente nella nostra società un dispositivo di occultamento che mira a negare le funzioni aristocratiche, distruggendo l’eccellenza (il termine elite è pregiudicato, così come il senso proprio di “visibilità”, declinato in senso narcisistico, o quello di concorrenza che non può darsi come intento di nobili valori); ma oggi, per inibizioni ideologiche, non siamo neanche in grado di cogliere l’importanza della generosità d’animo per la coesione sociale. Se pensiamo al cittadino, raramente può sentirsi un attivo contribuente per il bene comune, esprimere la sua partecipazione ai compiti della collettività, piuttosto che sentirsi ed essere considerato fondamentalmente come un debitore (si immagini se il cittadino fiscalmente attivo potesse fare da sponsor di un determinato valore sociale, quanto la collettività ne beneficerebbe e la mano pubblica potrebbe spendere meglio questo denaro).
Ma dove nasce il comportamento generoso, esemplare, aristocratico?
L’Iliade, che riflette l’etica omerica di una cultura della concorrenza, ci dà una risposta che condensa in un’espressione lo stile di vita viril-sportivo-battagliero dei Greci davanti a Troia; aei aristeuein, aspirare a essere sempre il migliore, assumersi il rischio di emergere dalla folla, sforzarsi di raggiungere l’eccellenza, voler incarnare un valore eminente. Tanto il peggio quanto il meglio deriva dagli dei; e così, i primi eroi greci erano tali in quanto in grado di diventare il recipiente di quell’energia che affluisce improvvisamente proveniente dal mondo ultraterreno (menis, ira). Agli occhi dei Greci un mondo senza l’apparizione di eroi avrebbe significato uno stato di cose in cui gli uomini sono esposti senza alcuna resistenza allo strapotere della natura (si pensi alla epidemia), di fronte a cui l’uomo non può nulla. L’eroe è la testimonianza che anche per l’uomo è possibile agire e operare, purché naturalmente ci sia il favore degli dei. Con l’eroe emerge una potenza umana, qualcosa di eccezionale rispetto al sempre uguale della natura. Il mondo ora si può ampliare con qualcosa di nuovo e degno di lode.
Con Platone si dà avvio ad un processo di domesticazione dell’ira, che produce una nuova forma di virilità (andreia): il godere di buona fama nella sfera pubblica, essere orgogliosi di sé, facendo valere le proprie forze tra pari per un vantaggio proprio e collettivo.
La parola greca per l’”organo” da cui parte il grande ribollimento nel petto di eroi e uomini, è thymos.
Qui nasce la prima psicologia filosofica dell’Europa come timotica politica.
Platone concepiva l’anima come una sorta di “guerra civile dell’io” che separava la sua istanza razionale (logistikon), calcolante, strategica, ma anche censoria, da quella irrazionale, desiderante. All’interno di quest’ultima, poi, vi era una ulteriore scissione: da una parte, desideri legati alla corporeità (cibo, bere, sesso, denaro per soddisfarli), pulsioni strettamente individuali, perciò estranee e ostili alla sfera della socialità politica, la nebulosa dei “desideri puri” (epithymetikon); dall’altra, desideri di fama, di onori, riconoscimento pubblico, la rivendicazione del proprio valore di fronte ad ogni offesa (la pulsione di autoaffermazione); pur sempre irrazionali per la loro violenza aggressiva, però facevano capo ad una parte dell’anima più nobile della prima (thymoeides). Il thymos designa il carattere intrinsecamente sociale dei desideri che si contrappone alla privatezza di quelli epithymetici. In quanto rivolti all’orgogliosa affermazione di sé nella dimensione pubblica, possiedono un riferimento al bene comune. Questa parte dell’anima, se adeguatamente educata, era disponibile a “prendere le armi” in sostegno della ragione nei conflitti intrapsichici, a cui essa poteva offrire l’ausilio della sua energia.
La prestazione eccezionale del thymos inteso in senso platonico consiste nella sua capacità di mettere una persona contro se stessa. Questo rivolgimento può avvenire solo quando la persona non vede soddisfatte quelle pretese che invece dovrebbero esserlo per non perdere la stima verso sé (il che dimostra che l’uomo possiede un’idea innata, anche se opaca, del giusto e del degno di lode).
Anche Aristotele parla dell’ira in modo favorevole (a condizione che sia unita al coraggio, come difesa dalle ingiustizie) e pensa che quando il thymos e la ragione si alleano danno luogo ad un’espansione dell’anima (megalopsichia, magnanimità), che spinge l’uomo al perseguimento di grandi traguardi volti al bene comune. Nella determinazione della magnanimità è fondamentale che ci sia corrispondenza tra l’opinione che uno ha di se stesso (di cosa uno si ritiene degno) e la grandezza delle cose per cui si è apprezzati. Tutto ciò ha un particolare significato non solo in rapporto alle attuali questioni relative ad un élite screditata, ad una falsa concorrenza e ad una visibilità con poca sostanza, ma anche all’assenza di meritocrazia, alle nuove forme di gregarismo o alla proliferazione di personalità narcisistiche, indotte dall’attuale consumismo, che favorisce l’esclusione dell’orgoglio a favore delle pulsioni epithymetiche, a favore cioè di un “erotica” senza altruismo). Mentre l’erotica mostra delle vie verso gli oggetti che ci mancano, e che solo il loro possesso ci fa sentire completi, la “timotica” apre agli uomini la strada nella quale fanno valere ciò che hanno, ciò che possono, ciò che sono e vogliono essere.
In vista della fase 3, ma anche per risolvere questioni presenti nel pre-covid, occorre ritornare ai fondamenti della psicologia filosofica dei greci per educare giovani e cittadini alla coscienza del proprio valore e delle forze dell’autoaffermazione (che soddisfi le condizioni psicodinamiche di base), correggendo l’immagine erotologicamente dimezzata dell’uomo. Oggi non siamo più coscienti degli effetti di autoformazione delle tesi antropologiche, per cui se si pensa che gli uomini siano esseri vili o che sia normale che l’uomo si comporti da avido massimizzatore del proprio vantaggio, ci si ritrova circondati da viltà in cui la sola realtà a contare è quella del profitto e di un egualitarismo verso il basso.
Occorre valorizzare l’impulso a spendere le proprie energie in modo che il potenziale cresca.
Per contro va messa in evidenza l’ambivalenza delle forze: gli uomini non sono solo creature che funzionano secondo la legge del minimo sforzo, ma sono al tempo stesso esseri predisposti a comportamenti partecipativi e magnanimi, non solo a prendere ma anche a dare. Occorre valorizzare l’impulso a spendere le proprie energie in modo che il potenziale cresca. È il momento di mettere in atto un programma di vaccinazione contro gli istinti più bassi che puntano solo a prendere individualmente, al fine di ottenere un’immunità di gruppo contro la bassezza, contro il cinismo, la rassegnazione, l’ognun per sé, le invidie sociali, il risentimento, che ostacolano fin dal principio ogni tentativo di scommettere sulla potenza affermativa. Non sono forse già sotto i nostri occhi straordinarie energie creative che si sono mobilitate in questi mesi in risposta alle difficoltà: solidarietà, esempi di de-burocratizzazione (non dal governo), flessibilità di pensiero e azione, importanza riconosciuta alla sanità e alla scuola pubblica, ai beni comuni .. audacia di imprese collettive ritenute impossibili che diventano finalmente possibili?
Di Fabrizio Spagnol, filosofo e formatore, autore di “Cosa si nasconde dietro il bullismo. Saggio sulla formazione complessa”.
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