Articolo di Valentino Vecchi - Dott. Commercialista - CTU Tribunale Napoli
Con un’importante pronuncia – la n.1890 del 03.11.2020 – la Corte d’Appello di Bari si è espressa sul dibattuto tema della validità, ovvero invalidità, dei contratti di mutuo che prevedono, per il rimborso del capitale, l’ammortamento “alla francese” elaborato applicando il regime della capitalizzazione composta degli interessi in assenza di esplicita pattuizione contrattuale.
Per comprendere le ragioni che hanno indotto la Corte a pronunciarsi in tal senso, occorre anzitutto comprendere che “a parità di importo finanziato, di TAN contrattuale, di durata del piano di rimborso e di numero di rate, due prestiti, a seconda del regime di capitalizzazione, produrranno un costo del tutto diverso, “che risulterà decisamente più alto in regime di capitalizzazione composta, mentre sarà indiscutibilmente più ridotto in regime di capitalizzazione semplice”.
Difatti, atteso che per la predisposizione del piano di rimborso di un finanziamento gli istituti di credito fanno in massima parte ricorso al criterio di ammortamento “alla francese” – quello che prevede il pagamento di rate il cui importo resta costante nel tempo – grazie agli studi del prof. Annibali (professore Ordinario di “Matematica Finanziaria” presso l’Università “La Sapienza” di Roma) si è compreso che è possibile determinare il valore della rata (fissa) impiegando tanto il regime composto – e in tal caso la rata da versare alla banca risulta più alta – quanto il regime semplice.
In tale ultimo caso la rata da corrispondere è più bassa, così come inferiori, complessivamente, risultano gli interessi da versare all’istituto mutuante. Il regime finanziario, dunque, rappresenta una condizione economica che non può non essere esplicitata in contratto, ex art.117, comma 4, TUB.
La differenza, in termini di “monte interessi”, tra i due regimi se da un lato discende, secondo il Collegio, “dalla componente anatocistica generata dall’impiego del regime composto”, dall’altro lato cela l’applicazione di costi occulti che, in quanto tali, sono certamente illegittimi (la pronuncia, sul tema dei “costi occulti”, richiama la recente sentenza n.8770/2020 resa a SS.UU. dalla Cassazione in materia di contratti derivati).
In pratica, per la Corte d’Appello i classici mutui “alla francese” sottendono “l’applicazione di un tasso effettivo di interesse diverso da quello concordato e più sfavorevole al cliente, in quanto superiore a quest’ultimo per effetto dell’occulta applicazione (in sede di sviluppo del piano di ammortamento) del regime di capitalizzazione composta”.
In pratica, il Collegio ha ritenuto che “la previsione contrattuale relativa al tasso di interesse contiene, quindi, un’indicazione (quella del TAN) parziale, che nulla dice su aspetti qualificanti del rapporto di credito (relativi ai tempi di riscossione degli interessi ed al regime finanziario adottato), e che si rivela insufficiente a determinare il monte interessi (espressione del prezzo effettivo del finanziamento) in caso di adozione – non dichiarata in contratto – del regime di capitalizzazione composta”.
Dal punto di vista giuridico, secondo la Corte “la divergenza tra T.A.N. e T.A.E., in difetto di previsione pattizia del TAE e del regime finanziario applicato, rende, infatti, indeterminata la clausola relativa al tasso di interesse, dal momento che l’individuazione del tasso effettivo di interesse viene affidata ad un artificioso ed occulto incremento del tasso pattuito conseguente all’applicazione della formula dell’interesse composto nella fase di elaborazione del piano di ammortamento, cioè in un momento successivo alla conclusione del mutuo e sulla base di un regime finanziario (quello dell’interesse composto) non previsto in contratto (cfr..sul punto, T. Massa, 3 agosto 2020; T.Lucca, 10 giugno 2020; App. Campobasso, 5 dicembre 2019; T. Cremona, 28 marzo 2019; T. Bari 29 ottobre 2008)”.
Non vale a sanare il vizio contrattuale la predisposizione del piano di ammortamento (nel caso affrontato dalla Corte allegato unicamente all’atto di erogazione e quietanza e non anche al contratto di mutuo), “il quale costituisce solo l’esito numerico finale dell’applicazione di criteri e parametri di calcolo del tasso di interesse (quali, in particolare, il regime finanziario ed il metodo di computo degli interessi utilizzati) mai esplicitati in contratto né conoscibili all’atto di assunzione dell’obbligo negoziale “.
Per la medesima ragione, neppure l’eventuale indicazione, in contratto, del valore della rata appare idonea a superare il vizio discendente dalla mancata pattuizione del regime finanziario.
Sebbene, difatti, ad un determinato valore della rata non possa che corrispondere uno specifico regime finanziario, se quello impiegato per la sua determinazione sia – come accade praticamente sempre – il regime composto, potrebbe al più ritenersi superato – in punto di diritto – il profilo di indeterminatezza (è in ogni caso evidente che nessun mutuatario sprovvisto di elevate competenze di matematica finanziaria sarebbe mai in grado di accertare, prima della sottoscrizione del contratto di mutuo, che il regime finanziario sotteso al calcolo del valore della rata sia quello composto), residuando la violazione del comma quarto dell’art’117 TUB (“I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati”) nonché del comma 6 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 (“Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”).
Dichiarata la nullità della clausola interessi, la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto che il rapporto di mutuo dovesse rielaborarsi facendo applicazione del meccanismo di eterointegrazione normativa previsto dall’art.117, comma 7, TUB.
Alla pronuncia in commento ha fatto eco, pochi giorni dopo, il Tribunale di Campobasso, con sentenza n.528 del 06.11.2020.
La questione, va in ogni caso chiarito, è – ancora oggi – molto dibattuta tanto in giurisprudenza quanto in dottrina.
La redazione di ASFinanza&Consumo
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