Da qualche giorno, in orari concordati, dai balconi si canta l’Inno italiano: ma chi conosce la sua intera versione? Pochi, eppure ci unisce lo stesso!
Da qualche giorno, in orari concordati, ci si affaccia e si canta l’Inno italiano. E’ servito il coronavirus per rispolverare il nostro patriottismo? No. Patrioti in pectore molti italiani lo sono sempre stati e sempre lo saranno. Così, quando parte l’Inno, c’è chi si alza in piedi, chi mette la mano sul cuore, chi lo canticchia, chi controlla se i giocatori lo sappiano bene. Ma chi conosce la sua intera versione? Pochi, eppure ci unisce lo stesso!
Scritto nel 1847 da Mameli e musicato da Novaro, si diffonde nel Risorgimento, è sostituito dalla Marcia reale nel 1861 (troppo rivoluzionario per i Savoia), nel 1946 diviene provvisorio, ma solo dal 2017, il “Canto degli Italiani” è inno nazionale de iure.
Molti i riferimenti storici a un passato eroico: il nostro nemico storico è l’Austria, l’impero austriaco occupa i territori del Nord Est europeo e parte dell’Italia.
L’inizio è intuitivo: siamo fratelli, siamo italiani e l’Italia si è risvegliata dal torpore di secoli: Fratelli d’Italia // L’Italia s’è desta. L’eroe di riferimento ha un nome che ci riporta a scuola, Scipione l’Africano che sconfigge Annibale nel 202 a. C. Quindi per battere gli odiati austriaci/tedeschi serve l’elmo di Scipio che ci darà la forza per combattere: Dell’elmo di Scipio//S’è cinta la testa. Poi con l’elmo… vinceremo (come si ripete in questi giorni) e la dea della Vittoria, donna dai lunghi capelli, porgerà la chioma al taglio, le schiave infatti portano i capelli corti per distinguersi dalle donne libere. La Dea Vittoria si sottometterà a Scipione l’Africano, ossia a Roma. Se guerra ci sarà, Mameli è certo che Roma/l’Italia vincerà e renderà la Vittoria sua schiava. L’Italia è destinata a vincere per volere di Dio, ecco che arriva la religione: Dov’è la Vittoria?//Le porga la chioma,//Ché schiava di Roma//Iddio la creò. Abbiamo una missione come l’hanno avuta Enea e Romolo che crearono Roma. Il richiamo a Roma torna anche nella coorte (con due “o”), decima parte della legione romana, 600 uomini pronti a difendersi fianco a fianco, perché così combattono i romani. Roma è esempio per l’Italia, stringiamoci nelle coorti e difendiamoci a vicenda senza tradire, spalla a spalla, fino alla morte: Stringiamoci a coorte//Siam pronti alla morte//L’Italia chiamò.
Poi comincia la parte meno nota e utilizzata, ma molto attuale, che sintetizza in parte il nostro destino. Inutile spiegare, basta leggere: Noi siamo da secoli//Calpesti, derisi (sempre dal nostro nemico storico)//Perché non siam popolo,//Perché siam divisi. Più chiaro di così… Raccolgaci un’unica//Bandiera, una speme://Di fonderci insieme//Già l’ora suonò. Deciso il richiamo alla volontà di Dio e la forza dell’unione, contro qualunque oppressore/disastro: Uniamoci, amiamoci,//l’Unione, e l’amore//Rivelano ai Popoli//Le vie del Signore. E’ il momento di liberarci da chi ci usurpa e ci umilia, allora il senso era territoriale, oggi sembrerebbe una metafora, ecco perché cantiamo la versione ridotta. Ma l’Inno continua così: Giuriamo far libero//Il suolo natìo://Uniti per Dio//Chi vincer ci può?
Non dimentichiamo che siamo nel mondo di Mazzini, l’Italia si deve unire e ribellare attraverso Dio (per Dio) che protegge gli oppressi; Mameli era un mazziniano doc, e quindi “libera Chiesa in libero Stato” di cavouriana memoria. Poi un nuovo riferimento storico, la battaglia di Legnano (1176), in cui ci siamo liberati di un altro “crucco”, Federico Barbarossa che deve infine riconoscere le autonomie delle città italiane (1183). Ovunque, dalle Alpi alla Sicilia dobbiamo resistere e ribellarci: Dall’Alpi a Sicilia//Dovunque è Legnano,/ Ogn’uom di Ferruccio//Ha il core, ha la mano. Chi è questo Ferrucci? è il condottiero italiano che difende Firenze da Carlo V d’Asburgo (ecco di nuovo il nostro nemico), ucciso nel 1530 da Maramaldo, un mercenario al soldo di Carlo V, al quale Ferrucci dice “Tu uccidi un uomo morto”. Da allora Maramaldo vuol dire vile. Chi dà poi l’avvio alla rivolta genovese contro gli austriaci? Giambattista Perasso, detto Balilla: il 5 dicembre 1746 scaglia una pietra contro un ufficiale, dando il via alla liberazione di Genova. Tutti gli italiani devono essere eroici come il piccolo Balilla: I bimbi d’Italia//Si chiaman Balilla. Poi il testo torna indietro nel tempo, contro la dinastia francese degli angioini, altro nemico, quando nel 1282 tutte le campane suonano per muovere il popolo di Palermo all’insurrezione. Sono i Vespri siciliani, fine dei 16 anni di governo angioino: Il suon d’ogni squilla//I Vespri suonò.//.
L’Inno ha così chiarito chi erano i nostri “nemici”, e si conclude con un richiamo all’Austria degli Asburgo, all’aquila bicipite e al suo simbolo imperiale, le spade vendute sono le truppe mercenarie dell’esercito imperiale: Son giunchi che piegano//Le spade vendute://Già l’Aquila d’Austria Le penne ha perdute.// L’Impero austro-ungarico, con il Cosacco (la Russia) ha invaso la Polonia (1772-1795). Il sangue dei popoli oppressi, si trasforma in veleno: Il sangue d’Italia,//Il sangue Polacco,//Bevé, col cosacco,//Ma il cor le bruciò./
E infine dunque: Stringiamci a coorte//Siam pronti alla morte//L’Italia chiamò.
Meditate gente, forse l’Italia ci sta chiamando a coorte, e forse Mameli aveva la sfera di cristallo.
Di Alessandra Camerano e Alfredo Cirinei, Win & Co Srl, società specializzata in gestione archivi e beni culturali.
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