L’autonomia divide il governo.
Negli ultimi giorni, è tornato in auge il tema sull’autonomia delle Regioni.
Come era prevedibile, le polemiche non sono mancate e sono probabilmente destinate a proseguire anche nel corso delle prossime settimane.
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, che da sole rappresentano oltre il 40 per cento del Prodotto interno lordo italiano, hanno richiesto riconoscimento di maggiori competenze, discutendo con il governo il progetto di legge da portare al vaglio del parlamento per l’approvazione di una riforma delle autonomie.
Oltre a loro, hanno presentato richiesta di autonomia altre sei regioni
… Per capire cosa sta succedendo ripercorriamo le tappe di ciò che è stato fatto…
Il nostro Paese prevede nella costituzione un sistema di regioni (a statuto ordinario e non) ed al progetto costituzionale è stato dato attuazione a partire dal 1971.
Nella prima fase, di avvio del modello regionale, il sistema di finanziamento degli enti locali si fondava sul c.d. metodo della “finanza derivata”.
Il modello prevedeva la centralizzazione delle risorse fiscali (attraverso il sistema di c.d. tesoreria unica tradizionale), con programmazione economica e finanziaria concentrata a livello statale e decentramento della sola spesa pubblica.
La tesoreria unica fu introdotta per la prima volta nel 1984, per consentire allo Stato di poter controllare l’attività di spesa degli enti locali assicurando agli enti le risorse ad essi spettanti solo dopo la effettiva decisione delle spese da parte di questi. Tutto ciò rendeva possibile gestire in modo più oculato il flusso dei pagamenti, evitando l’eccessivo indebitamento dello Stato.
Il sistema di tesoreria unica tradizionale è durato fino al 1997, quando l’art. 9 del d.lgs. 279 del 1997 ha promosso in senso sostanziale l’autonomia gestionale e finanziaria degli enti locali, ridimensionando gli spazi di funzionamento della tesoreria unica. Dal 1997 al 2012 si è venuto progressivamente sviluppando il sistema di tesoreria mista, con prevalenza della gestione della tesoreria in capo agli enti locali mediante l’utilizzo di un apposito soggetto terzo con funzione di tesoriere. Questo sistema è indubbiamente quello che meglio risponde al precetto costituzionale che sancisce (art. 119 della Costituzione) l’autonomia finanziaria degli enti locali.
Si avviava così una seconda fase dell’evoluzione della funzione finanza negli enti locali, con riconoscimento a quest’ultimi del potere di mettere in atto un’autonomia politica di gestione attiva della liquidità (finanza decentrata)
Il sistema di tesoreria unica mista è stato sospeso, però, nel 2012 dal governo Monti (con l’art 35 DECRETO-LEGGE 24 gennaio 2012, n. 1) e agli enti che ne beneficiavano si applicano, di nuovo, le regole della tesoreria unica tradizionale.
La sospensione è stata prorogata da tutti i governi succedutesi in questi anni, fino all’ultima proroga prevista fino al 2021 dalla legge di bilancio del 2018.
… Cosa succede oggi…
Alcune regioni (Lombardia e Veneto) hanno richiesto concessione di maggiore autonomia invocando Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione che stabilisce che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze, rispetto a quelle previste normalmente per le ragioni a statuto ordinario
L’art 116 però stabilisce espressamente che dette competenze possono essere attribuite, su iniziativa della Regione interessata, con legge dello Stato, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119 della Costituzione.
E quali sono i limiti riconosciuti dall’art 119 della Costituzione?
Sulla carta in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, l’art 119 prevede autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, che potrebbero investire liberamente le proprie risorse attraverso i canali bancari (scegliendo in base al libero mercato la banca a cui rivolgersi per le funzioni di tesoreria).
In realtà però con una serie di decreti legge che tra loro si sono susseguiti nel tempo, dal governo Monti fino ad oggi, la possibilità per gli enti locali di ricavare maggiori rendimenti dalle risorse disponibili superando le strettoie della tesoreria unica tradizionale non ha ancora trovato applicazione.
I governi di Lombardia e Veneto hanno organizzato un referendum consultivo nel 2017, e in entrambe le regioni il “sì” ha ricevuto la maggioranza dei voti. Essendo consultivi, i referendum non hanno avuto esiti vincolanti né per le regioni né per il governo, ma le votazioni hanno dato chiaramente forza politica alla richiesta.
Questa nuova spinta nella direzione dell’Autonomia regionale, farà venir meno l’argine della Tesoreria Unica tradizionale?
Il governo Monti adottò il provvedimento di sospensione opponendo alle esigenze di autonomia rese cogenti dall’art 116 e 119 della Costituzione i principi introdotti con la Legge Costituzionale 1 del 2012.
Il citato intervento legislativo prevedeva, infatti, che fosse inserito nell’articolo 97 della Costituzione il seguente inciso:
«Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».
Questa riforma ha dato rilievo ad un elemento matematico imponderabile (PAREGGIO DI BILANCIO) che solo il MEF è in grado di valutare, discrezionalmente.
La Costituzione, dunque, valorizza due principi che sembrano oggi entrare in contrasto tra loro: da un lato il principio dell’autonomia regionale dall’altro quello del pareggio di bilancio che impone un attività di controllo centralizzato della spesa.
La Corte dei Conti ha espresso prudenza affermando che: “I fondi vanno comunque ripartiti equamente tra Regioni. E serve analisi costi-benefici”.
Rispetto all’iniziativa delle regioni Veneto e Lombardia, dunque, La Corte dei Conti ha espresso prudenza affermando che: “I fondi vanno comunque ripartiti equamente tra Regioni. E serve analisi costi-benefici”.
Stato e governatori regionali in questo momento sono in piena trattativa e, tra una polemica e l’altra, stanno cercando la via per reciproche concessioni.
Purtuttavia, il tema del passaggio da un sistema di tesoreria unica tradizionale ad un sistema di tesoreria unica mista… non è stato posto, in modo espresso, al centro del dibattito politico.
Il principio del pareggio di bilancio giustifica che il sistema rimanga legato a meccanismi volti all’accentramento della programmazione economica e finanziaria concentrata a livello statale?
Mi piacerebbe raccogliere opinioni in merito
Di Valentina Augello, Avvocato
L’autonomia divide il governo.
Negli ultimi giorni, è tornato in auge il tema sull’autonomia delle Regioni.
Come era prevedibile, le polemiche non sono mancate e sono probabilmente destinate a proseguire anche nel corso delle prossime settimane.
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, che da sole rappresentano oltre il 40 per cento del Prodotto interno lordo italiano, hanno richiesto riconoscimento di maggiori competenze, discutendo con il governo il progetto di legge da portare al vaglio del parlamento per l’approvazione di una riforma delle autonomie.
Oltre a loro, hanno presentato richiesta di autonomia altre sei regioni
… Per capire cosa sta succedendo ripercorriamo le tappe di ciò che è stato fatto…
Il nostro Paese prevede nella costituzione un sistema di regioni (a statuto ordinario e non) ed al progetto costituzionale è stato dato attuazione a partire dal 1971.
Nella prima fase, di avvio del modello regionale, il sistema di finanziamento degli enti locali si fondava sul c.d. metodo della “finanza derivata”.
Il modello prevedeva la centralizzazione delle risorse fiscali (attraverso il sistema di c.d. tesoreria unica tradizionale), con programmazione economica e finanziaria concentrata a livello statale e decentramento della sola spesa pubblica.
La tesoreria unica fu introdotta per la prima volta nel 1984, per consentire allo Stato di poter controllare l’attività di spesa degli enti locali assicurando agli enti le risorse ad essi spettanti solo dopo la effettiva decisione delle spese da parte di questi. Tutto ciò rendeva possibile gestire in modo più oculato il flusso dei pagamenti, evitando l’eccessivo indebitamento dello Stato.
Il sistema di tesoreria unica tradizionale è durato fino al 1997, quando l’art. 9 del d.lgs. 279 del 1997 ha promosso in senso sostanziale l’autonomia gestionale e finanziaria degli enti locali, ridimensionando gli spazi di funzionamento della tesoreria unica. Dal 1997 al 2012 si è venuto progressivamente sviluppando il sistema di tesoreria mista, con prevalenza della gestione della tesoreria in capo agli enti locali mediante l’utilizzo di un apposito soggetto terzo con funzione di tesoriere. Questo sistema è indubbiamente quello che meglio risponde al precetto costituzionale che sancisce (art. 119 della Costituzione) l’autonomia finanziaria degli enti locali.
Si avviava così una seconda fase dell’evoluzione della funzione finanza negli enti locali, con riconoscimento a quest’ultimi del potere di mettere in atto un’autonomia politica di gestione attiva della liquidità (finanza decentrata)
Il sistema di tesoreria unica mista è stato sospeso, però, nel 2012 dal governo Monti (con l’art 35 DECRETO-LEGGE 24 gennaio 2012, n. 1) e agli enti che ne beneficiavano si applicano, di nuovo, le regole della tesoreria unica tradizionale.
La sospensione è stata prorogata da tutti i governi succedutesi in questi anni, fino all’ultima proroga prevista fino al 2021 dalla legge di bilancio del 2018.
… Cosa succede oggi…
Alcune regioni (Lombardia e Veneto) hanno richiesto concessione di maggiore autonomia invocando Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione che stabilisce che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze, rispetto a quelle previste normalmente per le ragioni a statuto ordinario
L’art 116 però stabilisce espressamente che dette competenze possono essere attribuite, su iniziativa della Regione interessata, con legge dello Stato, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119 della Costituzione.
E quali sono i limiti riconosciuti dall’art 119 della Costituzione?
Sulla carta in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, l’art 119 prevede autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, che potrebbero investire liberamente le proprie risorse attraverso i canali bancari (scegliendo in base al libero mercato la banca a cui rivolgersi per le funzioni di tesoreria).
In realtà però con una serie di decreti legge che tra loro si sono susseguiti nel tempo, dal governo Monti fino ad oggi, la possibilità per gli enti locali di ricavare maggiori rendimenti dalle risorse disponibili superando le strettoie della tesoreria unica tradizionale non ha ancora trovato applicazione.
I governi di Lombardia e Veneto hanno organizzato un referendum consultivo nel 2017, e in entrambe le regioni il “sì” ha ricevuto la maggioranza dei voti. Essendo consultivi, i referendum non hanno avuto esiti vincolanti né per le regioni né per il governo, ma le votazioni hanno dato chiaramente forza politica alla richiesta.
Questa nuova spinta nella direzione dell’Autonomia regionale, farà venir meno l’argine della Tesoreria Unica tradizionale?
Il governo Monti adottò il provvedimento di sospensione opponendo alle esigenze di autonomia rese cogenti dall’art 116 e 119 della Costituzione i principi introdotti con la Legge Costituzionale 1 del 2012.
Il citato intervento legislativo prevedeva, infatti, che fosse inserito nell’articolo 97 della Costituzione il seguente inciso:
«Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».
Questa riforma ha dato rilievo ad un elemento matematico imponderabile (PAREGGIO DI BILANCIO) che solo il MEF è in grado di valutare, discrezionalmente.
La Costituzione, dunque, valorizza due principi che sembrano oggi entrare in contrasto tra loro: da un lato il principio dell’autonomia regionale dall’altro quello del pareggio di bilancio che impone un attività di controllo centralizzato della spesa.
La Corte dei Conti ha espresso prudenza affermando che: “I fondi vanno comunque ripartiti equamente tra Regioni. E serve analisi costi-benefici”.
Rispetto all’iniziativa delle regioni Veneto e Lombardia, dunque, La Corte dei Conti ha espresso prudenza affermando che: “I fondi vanno comunque ripartiti equamente tra Regioni. E serve analisi costi-benefici”.
Stato e governatori regionali in questo momento sono in piena trattativa e, tra una polemica e l’altra, stanno cercando la via per reciproche concessioni.
Purtuttavia, il tema del passaggio da un sistema di tesoreria unica tradizionale ad un sistema di tesoreria unica mista… non è stato posto, in modo espresso, al centro del dibattito politico.
Il principio del pareggio di bilancio giustifica che il sistema rimanga legato a meccanismi volti all’accentramento della programmazione economica e finanziaria concentrata a livello statale?
Mi piacerebbe raccogliere opinioni in merito
Di Valentina Augello, avvocato presso Studio Lepore – Associazione Professionale
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