“Decreti di emergenza” nella Roma dei Papi: ciò che si comprende e si impara è che solo la prevenzione può evitare altri disastri.
La peste colpisce Roma 1656-57; il batterio killer arriva con le pulci dei topi a bordo delle navi commerciali genovesi e napoletane. A Roma, tra il 23 e il 24 giugno, di notte, trovato a Trastevere il primo infetto, scatta un cordone sanitario immediato: il rione è prima isolato da cancelli di legno e guardie armate, poi da un alto muro costruito a tempo di record. Due istituzioni devono gestire il contagio, sono la Congregazione di Sanità e la Sacra consulta, composte di esperti e cardinali che si concentrano sulla repressione del popolo, più che sulla cura dei malati. Mantenere l’ordine sociale è la priorità, persino mentendo si nega la diffusione del male. Il Card. Barbarigo, responsabile sanitario di Trastevere scrive: “si muore più di stento e di paura che di peste”, ma il rione è isolato, i trasteverini condannati a morte certa.
“si muore più di stento e di paura che di peste”
I motivi del contagio sono ancora ignoti, ma è noto che la peste si propaga per il contatto diretto col malato o con suoi oggetti e abiti, veicoli del male. Tra disposizioni inutili e semi magiche (infuocare legni profumati o mangiare fichi), si bruciano materassi e vestiti, si usa aceto e calce per pulire stanze, e sono incerati gli abiti per i medici. In tempi rapidissimi le istituzioni pontificie sospendono ogni scambio commerciale con Napoli, Genova e Civitavecchia messa in quarantena, mentre alle porte di Roma ci sono soldati che registrano entrate/uscite.
La peste romana, in modo alterno, dura oltre un anno, con una mortalità fra il 7-8% del totale della popolazione, e punte del 63% nei lazzaretti. Da subito nasce l’esigenza di un governo forte, poteri nelle mani di un solo uomo e tre linee guida: spingere la popolazione a segnalare qualunque caso sospetto; separare i sani dagl’infetti, anche per il periodo successivo alla malattia e fino alla convalescenza; disinfettare persone e luoghi esposti al contagio con procedure previste anche per le merci in entrata.
In pochi giorni il sistema di controllo entra a regime: le pene sono severissime anche per i furti e le impiccagioni sono pubbliche e spettacolari mentre Roma è sotto assedio: il Tevere è sbarrato da una catena, due soli varchi, protetti da doppi cancelli, sono adibiti allo scambio merci e per lavorare i campi vicini serve un salvacondotto e un bollettino sanitario. Se poi il Tribunale Governatore scopre “mazzette” date ai guardiani delle porte le pene sono durissime.
Gli organi centrali emanano bandi su bandi, ogni giorno tramite i parroci si controlla il numero delle anime vive e di quelle passate a miglior vita e settimanalmente si aggiorna il numero dei contagiati e dei morti. Grazie alle nuove norme le case con gli appestati sono subito bonificate con procedura d’emergenza; il malato, isolato nella sua stanza e separato dagli altri, posti in quarantena, è portato al lazzaretto nel tempo più breve possibile, direttamente sul suo letto, scortato da monatti e birri che allontanano i passanti.
Le nuove leggi coordinano la nascita di un sistema di lazzaretti che si modifica nel corso dell’epidemia fino a prevedere spazi diversi fra malati, persone in quarantena e sopravvissuti destinati ad assistere gli altri. La normativa papale interviene poi nella vita quotidiana e vieta agli osti di ospitare più di quattro persone per tavolo, cani e gatti devono restare in casa, medici e cardinali devono usare carrozze “sigillate”, sono vietate processioni anche se invocate dal popolo e infine anche i funerali. I soldati alle porte non fanno entrare in città poveri e mendicanti, ed è vietato chiedere l’elemosina.
“Ci vuole nelle materie odiose chi faccia volentieri lo sbirro”.
Le conseguenze di decisioni così drastiche portano oltre al calo demografico (900.000 morti negli Stati italiani), all’interruzione dei commerci interni, crollano le campagne e la produzione agricola, manca la manodopera, si chiudono banche, banchi di prestito e cambiavalute, mentre esplode l’usura e la malavita. Ciò che si comprende e si impara è però per la prima volta che solo la prevenzione può evitare altri disastri, così il pontefice Alessandro VII a chi si lamenta dell’eccessiva crudeltà delle restrizioni ripete: “Ci vuole nelle materie odiose chi faccia volentieri lo sbirro”.
Alessandra Camerano, Win & Co Srl, società specializzata in gestione archivi e beni culturali.
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Vedi anche https://www.asfinanza.com/i-luoghi-di-monte-nello-stato-pontificio/
Complimenti, articolo molto interessante ed approfondito.
Grazie mille, proverò ad approfondire anche alla luce di quanto sta succedendo a Bergamo, parte di una zona da sempre devastata da epidemie più delle altre del resto d’Italia.