Il Recovery Fund è un’opportunità per l’Italia, ma per sfruttarla bisognerà adeguarsi ai vincoli imposti dalla Comunità Europea.
Sono 67 pagine che contengono ciò che era atteso – un programma NEXT GENERATION EU, (Recovey Fund) da 750 miliardi e un QUADRO PLURIENNALE DI BILANCIO EUROPEO di 1.074 miliardi fra il 2021 e il 2027 – ma anche alcuni meccanismi politico-giuridici che domineranno il dibattito europeo nei prossimi mesi ed anni.
Per l’Italia il totale di 209 miliardi di euro in un mix di 82 miliardi di sovvenzioni (sussidi) e 127 miliardi di prestiti. L’accordo dovrà essere ratificato a livello nazionale per via della nuova clausola di indebitamento della Commissione e approvato dal Parlamento europeo.
Il Recovery Fund entrerà ufficialmente in funzione a partire dalla primavera del 2021 e la sua dotazione andrà spesa molto velocemente: entro il 2023.
I 750 miliardi di euro saranno così suddivisi: 390 miliardi in sovvenzioni a fondo perduto (nella proposta precedente si attestavano a 500 miliardi di euro) e 360 miliardi in prestiti (inizialmente previsti nella somma di 250 miliardi di euro. Si tratta comunque di prestiti con tripla A, maturity a trent’anni e tasso d’interesse zero). Questa nuova distribuzione è stata soprattutto condizionata dalla volontà di cinque Paesi (Olanda, Danimarca, Austria, Svezia e Finlandia) che non vedevano di buon occhio l’eccessivo sbilanciamento tra sovvenzioni e prestiti.
La richiesta dei soldi è vincolata al piano di riforme che va presentato alla Commissione, che a sua volta si prenderà fino a due mesi per esaminarlo. Dopo di che “la valutazione dei piani deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, mediante un atto di esecuzione che il Consiglio si adopera per adottare entro quattro settimane dalla proposta”. Questo significa che se vi fossero dubbi sul piano di riforme, su come verrebbero spesi i soldi o quant’altro, la richiesta di fondi verrebbe respinta.
Il testo parla chiaro, per ottenere i soldi “si terrà conto degli adeguamenti previsti delle retribuzioni, dell’avanzamento di carriera, dei costi relativi alle pensioni e di altre ipotesi pertinenti“. L’intesa inoltre sottolinea la necessità di “condurre un’analisi periodica del personale che garantisca l’ottimizzazione del personale” e “la sostenibilità del regime pensionistico “.
L’Italia infatti, secondo le condizioni poste da Bruxelles, dovrà fare una riforma del fisco (nuove tasse in arrivo e via le agevolazioni) e una sul mercato del lavoro.
Di Antonio Suero, Presidente AS Finanza&Consumo, Suero & Partners.
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