lunedì, Novembre 25, 2024
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La Super League: come sovvertire la Piramide del Calcio

L’annuncio della creazione della Super League ha smosso come mai la Piramide del Calcio. 

Quando si fa riferimento all’eccellenza sportiva in ambito calcistico si tende a pensare a prestazioni fisiche straordinarie, a colpi di genio e visione di gioco favoriti da capacità tecniche superiori, a partite combattute fino all’ultimo respiro per il raggiungimento di un traguardo e la vincita di un titolo, oppure alla lotta ad oltranza per poter anche solo continuare a far parte di una competizione.

Dalla sua nascita, il gioco del calcio ha manifestato la sua natura competitiva, agonistica e tecnica fino a far innamorare i tifosi di tutto il mondo, rendendolo da molti anni a questa parte lo sport più seguito in assoluto. Tutto questo interesse ha portato alla creazione di strutture e sovrastrutture che nel tempo hanno tentato, in modo più o meno lecito, di costruire un sistema economico capace di sostenere l’intera famiglia del calcio, racchiusa idealmente in una piramide.

Il principio del sistema piramidale consiste nel creare un ecosistema che, a cascata, possa dare sostentamento a tutti i livelli della medesima, dalle istituzioni continentali e internazionali, alle federazioni nazionali ed i club, facendo perno su di un proclamato e controllato autosostentamento. In parole povere si fa riferimento a quell’idea per la quale i soldi presenti in questo sistema, frutto principalmente di tre grandi elementi quali i diritti tv, i ricavi del “match-day”, ovvero il fatturato dei club frutto degli abbonamenti e degli introiti ordinari legati all’esperienza di un tifoso che va a vedere la partita allo stadio (si pensi ai più banali seppur non indifferenti ricavi per il “food & beverage”), ed i ricavato del marketing, non finiscano mai per arricchire singoli privati, ma bensì finiscano sempre per essere reinvestiti andando a beneficiare la famiglia del calcio nella sua interezza, dai vertici alla base della piramide.

Ed è su questo principio di solidarietà economica che dai primi anni ’90, con l’introduzione innovativa e rivoluzionaria della vendita condivisa e la conseguente distribuzione dei diritti tv della Premier League, e dalla celebre sentenza del caso Bosman, fulcro ispiratore dei diritti di formazione, che si basa l’intero operato delle istituzioni calcistiche; in egual maniera, se non addirittura in maniera superiore, della UEFA, l’unione delle federazioni calcistiche europee, che ai valori di solidarietà intrinsechi al mondo dello sport e del calcio aggiunge quelli sociali dell’ambito comunitario. Non bisogna infatti dimenticare i vincoli fortissimi che uniscono le istituzioni europee al mondo dello sport, visto come un validissimo elemento propagatore dei valori comunitari di uguaglianza, integrazione e sana competizione, seppur non sempre rispettati.

Ed è per questo che l’annuncio della creazione della Super League ha smosso come mai lo stesso sistema citato fin ora; una competizione che non fa certo perno sulle sensazioni di agonismo e competizione che hanno fatto innamorare i tifosi di tutto il mondo di questo magico sport. Si fa bensì riferimento alla necessità individuale di ristabilire la scadente situazione finanziaria di alcuni tra i più grandi club d’Europa e, dunque, del mondo, messi in ginocchio dalla crisi pandemica che ormai da un anno affligge la vita di tutti noi.

Questa la posizione dei Presidenti e dirigenti dei club che hanno osato sfidare la supremazia della UEFA e della FIFA, ovvero ben sei club inglesi (Arsenal, Chelsea, Tottenham, Manchester United, Manchester City e Liverpool), tre club spagnoli (FC Barcellona, Real Madrid e Atletico de Madrid) e tre club italiani (Juventus, Milan e Inter), che sperano di fare colpo sul grande pubblico internazionale, principalmente asiatico, dopo aver già accolto favorevolmente il finanziamento proposto da JP Morgan di ben 3,5 miliardi, destinati ad essere recuperati mediante la vendita dei diritti tv delle partite della competizione in questione alle TV di tutto il mondo.

Almeno così pare dalle dichiarazioni del Presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, nel seguitissimo programma spagnolo di commento sportivo “El Chiringuito”, sede abituale delle sue sporadiche ma incisive apparizioni televisive, nel quale ha chiaramente dato a intendere che il gioco del calcio inteso come noi l’intendiamo ora non abbia futuro, ma soprattutto mercato, perché poco spettacolare.

D’altra parte, non possiamo omettere che questa nuova competizione a partecipazione semi-fissa (solo cinque squadre potrebbero partecipare per meriti sportivi, a differenza dei club fondatori che partecipano in quanto tali) ha chiaramente puntato tutto sul grande nome dei club partecipanti, a scapito delle prestazioni.  Non è certo un gran segreto che tra le partecipanti inglesi e italiane siano pochi se non pochissimi i trofei europei vinti negli ultimi anni, potendo addirittura far riferimento a i risultati – purtroppo – scadenti nelle competizioni UEFA nell’ultimo periodo della Juventus o nell’ultimo decennio del Milan, escluso da ben sette anni dalla Champions League per risultati non all’altezza.

Non si può neanche omettere la pronta risposta del presidente della FIFA, Gianni Infantino, del Presidente della UEFA, lo sloveno Aleksander Ceferin, così come dei presidenti di Lega per quanto riguarda il nostro campionato nazionale, che in questi giorni hanno criticato duramente questa scelta, promettendo durissime conseguenze, quali, ad esempio, l’esclusione dei club in questione dalle competizioni UEFA e dalle loro rispettive competizioni domestiche.

Dunque, per concludere, siamo così sicuri che la creazione di una Super League sia l’unico appiglio per la sopravvivenza economica di alcuni dei più grandi club del mondo? Un’ipotesi non contemplata pare quella del ridimensionamento dei costi, della maggiore attenzione rivolta nei confronti degli investimenti sbagliati dei giocatori in entrata a scapito dello sviluppo dei settori giovanili, e delle spese folli per gli stipendi alle quali vanno incontro, lontani dai metodi più pacati di altre grandi big, come è il caso del Bayern Monaco, che ha fatto del suo sistema di sostentamento economico funzionale un chiaro modello in ambito sportivo-finanziario. Non è dunque un caso che proprio il club tedesco abbia gentilmente rifiutato l’invito a partecipare in questa simil-competizione dal carattere elitario, sprovvista persino di promozione e retrocessione, intesi da molti come cardini fondamentali di qualsiasi competizione calcistica di livello, nonché elementi basilari per concepire la spettacolarità del calcio attuale.

Resta dunque lecito chiedersi se sia giusto snaturare i principi fondamentali di uno sport quando questo non risponde più alle necessità lucrative di un mercato in evoluzione. Restiamo in attesa di eventuali ripercussioni e di una trattativa tra i massimi esponenti istituzionali del calcio giocato ed i dirigenti dei club divergenti, il cui finale può racchiudere non poche sorprese.

Di Riccardo D’Angelo, laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Barcellona

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Vedi anche https://www.asfinanza.com/barcagate-vicissitudini-e-ripercussioni/

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