L’intervento del presidente emerito della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi al Salone della Giustizia, nel corso del faccia a faccia con il direttore dell’Espresso, Marco Damilano.
L’ultimo “faccia a faccia” al Salone della Giustizia ha visto il presidente emerito della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi confrontarsi con il direttore dell’Espresso Marco Damilano. Il primo argomento ha riguardato i magistrati vittime del terrorismo, in particolare l’uccisione di Mario Amato, avvenuta 40 anni fa. “Qualche giorno prima di essere ucciso, Amato denunciò nel corso di un’assemblea quanto si sentisse isolato e quali pericoli correva per la sua indagine sul terrorismo nero. Pochi giorni dopo fu ucciso alla fermata dell’autobus – ha ricordato Lattanzi -. Voleva recarsi in ufficio prima delle 8 e a quell’ora l’auto di servizio non era disponibile. Andava in giro con le scarpe bucate. Fu ammazzato dai NAR, una formazione neofascista cui aderivano anche figli di professionisti e magistrati. Dopo l’uccisione di Amato la Procura si attrezzò e oggi, alla Scuola superiore della magistratura che presiedo, Amato viene indicato come figura da tenere presente per capire professionalità e deontologia del magistrato”.
Quando vengono allo scoperto comportamenti sanzionabili da parte di magistrati, lo scandalo è sempre maggiore perché la corruzione in atti giudiziari prevede condanne superiori alla corruzione ordinaria. “Ed è giusto che sia così perché il giudice è visto come ultima istanza, come colui che può tutelare il cittadino. Di conseguenza, scoperchiare il carrierismo, sapere che a decidere gli avanzamenti è quel Consiglio superiore in cui il peso delle correnti è enorme, costituisce per l’opinione pubblica una ferita. Ogni volta le correnti promettono un cambiamento, ma ho l’impressione che sia sempre peggio. I magistrati hanno accettato questo sistema – anche criticandolo – e così ognuno continua la ricerca e l’appoggio delle correnti. Si parla di una riforma con 19 collegi per nominare i componenti togati del CSM, ma temo che si continuerà a scegliere il collega proposto dalla corrente di appartenenza. Tutto ciò ha poco a che vedere con istruttorie e sentenze, ma nell’opinione pubblica cresce poi il sospetto che le decisioni siano molto condizionate da tali comportamenti carrieristici”.
Populismo e informazione fanno la loro parte ed è impensabile non prendere in considerazione che oggi l’informazione corre sui social: “Non dico di utilizzare Twitter – ha detto Lattanzi – ma talune sentenze (a volte anche quelle della Corte Costituzionale) vanno spiegate e per farlo sarà indispensabile ricorrere ai meccanismi di informazione che sono mutati. Non dico evoluti, ma esistono e occorre prenderne atto e utilizzarli bene”.
Quanto alla cronica lentezza dei processi, Lattanzi non si è detto ottimista sulla possibilità di un cambiamento a breve. Damilano ha ricordato che questo rallentamento ci costa qualcosa come due punti e mezzo del Pil (40 miliardi…) e che per una sentenza civile occorrono in media otto anni. “La soluzione non è sinceramente a portata di mano – ha concluso Lattanzi -. Dico anzi che la frustrazione di molti magistrati deriva anche dal rendersi conto di come funziona questa giustizia”.
Redazione AS Finanza&Consumo
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