I modelli organizzativi d’ora in avanti dovranno tener conto dei rischi introdotti nell’impianto societario dall’emergenza sanitaria in corso.
Con il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231, è stata dettata la disciplina della “responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”. Tale norma ha introdotto una specifica forma di responsabilità di tipo “amministrativo” – in ossequio al dettato dell’art. 27 della nostra Costituzione– ma con numerosi punti di contatto con una responsabilità di tipo penale, a fronte di reati a vantaggio dell’ente, posti in essere da soggetti apicali (amministratori, dirigenti) o da chi, è sottoposto all’altrui direzione (dipendenti).
Lo scopo che ci si pone, è interrogarsi sulle potenziali ricadute dell’emergenza sanitaria portata dal Covid-19 su tale normativa ed il relativo modello di organizzazione, gestione e controllo specie per le società che esercitano attività produttiva e commerciale. E’ possibile che a breve si assista ad interventi sulla disciplina da parte delle Autorità.
I modelli organizzativi, d’ora in avanti dovranno tener conto dei rischi introdotti nell’impianto societario dall’emergenza sanitaria in corso. Per la prima volta infatti, l’intero sistema aziendale si trova a dover fronteggiare complessità sino ad oggi considerate proprie esclusivamente di settori particolarmente esposti al rischio contagio causato da agenti biologici.
In tale contesto emergenziale già in sé fortemente penalizzante per il sistema economico, i modelli organizzativi 231 risultano determinanti al fine di tutelare i lavoratori e contrastare l’insorgere di responsabilità particolarmente invasive in capo al datore di lavoro.
Nel contempo, le società dovranno adeguarsi ad uno scenario pandemico che per essere efficacemente affrontato, richiede una governance snella e fluida, basata su leve decisionali ed operative concentrate, su flussi informativi essenziali e tempestivi, su poche regole chiare e di immediata interpretazione. In tale nuovo contesto, i sistemi di compliance potrebbero subire alcune modifiche.
Con riferimento al dettato del d.lgs. 231/2001, al fine di ottenere una efficacia esimente in rapporto alla commissione di numerose tipologie di reato, è necessario che l’ente, oltre ad aver adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo, abbia nominato un Organismo di Vigilanza indipendente, con funzioni di sorveglianza sulla relativa implementazione del modello. La compliance, ha anche uno scopo etico che riveste particolare importanza in questa crisi: rappresenta un atto di responsabilità sociale da cui scaturiscono benefici per i portatori di interessi e tutti i soggetti legati alle sorti della società. L’introduzione di un sistema di controllo dell’agire imprenditoriale svolge una funzione normativa, in quanto regola comportamenti e decisioni di coloro che quotidianamente sono chiamati ad operare in favore della società, in conformità ai principi etici ed inoltre migliora gli standard di comportamento adottati, accrescendo il capitale reputazionale dell’impresa nei confronti degli stakeholders.
Un punto focale che in un primo momento ha incontrato opinioni discordanti, poi reso pacifico dall’art. 42 del c.d. decreto Cura Italia (d.l. 17 marzo 2020 n. 18), risiede nella qualificazione del contagio da Covid-19 come infortunio sul luogo di lavoro. Tale inquadramento è significativo al fine di attribuire all’ente una responsabilità amministrativa ai sensi dell’art. 25- septies del d.lgs. 231/2001 rubricato:
“omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”.
Le circostanze ai fini dell’applicabilità implicherebbero un infortunio sul lavoro che determini la morte del dipendente o lesioni gravi o gravissime con prognosi superiore ai quaranta giorni (Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza 25 febbraio 2015 n. 8531); dunque il Covid-19 dovrebbe essere stato contratto in una forma particolarmente virulenta.
Inoltre, con riguardo alla violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, il contagio dovrebbe essere conseguenza diretta ed accertata della violazione di tali specifiche norme ed in particolare, di quelle imposte durante il periodo emergenziale: non far svolgere in azienda (o all’esterno) la propria attività ai dipendenti laddove ciò non sia necessario e/o l’adozione di particolari cautele, nel caso in cui l’attività dei dipendenti debba necessariamente proseguire in loco. Un ulteriore elemento che andrebbe a configurare la “colpa organizzativa”, deriva da un vantaggio dell’ente in termini di riduzione di spesa per mancata predisposizione di misure di sicurezza tese a prevenire il reato presupposto, dunque una convenienza economica derivante dal non aver adottato tutte le misure necessarie ad evitare il contagio.
Seguendo questa possibile impostazione, si potrebbe ascrivere una forma di responsabilità ex d.lgs. 231/2001 alla società, in presenza dei suddetti elementi. Certamente in tale ipotesi, la responsabilità dell’azienda dovrebbe comunque essere accertata attraverso la verifica di un nesso di causalità tra la condotta dell’impresa e il verificarsi della diffusione del Coronavirus nei luoghi di lavoro, ma ciò potrebbe avvenire solo nell’ambito di un procedimento penale a carico dell’impresa, con tutte le relative conseguenze anche di ordine reputazionale. Già in fase cautelare e predibattimentale la società potrebbe essere sottoposta ad una delle misure interdittive previste dal d.lgs. 231/2001 ed alla sospensione dell’esercizio dell’attività.
L’imputabilità della responsabilità in esame, è esclusa se l’ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi. La società dovrà, dunque, dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati al soggetto apicale provando la circostanza che la commissione del reato non dipende da una propria “colpa organizzativa”. Al contrario ne risponderà se il reato è stato reso possibile dalla violazione degli obblighi di direzione o vigilanza.
Un secondo aspetto riguarda il comportamento da tenersi da parte delle società per evitare di incorrere in contestazioni per illeciti amministrativi dipendenti da reato, in caso di contagi da Covid-19 riscontrati all’interno della struttura aziendale e quali azioni specifiche si vadano ad aggiungere al generico obbligo, previsto dall’art. 2087 c.c. di tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore.
Da una lettura in combinato disposto dei d.P.C.M. 11 e 22 marzo 2020 (e successive modificazioni e integrazioni) emerge la necessità di effettuare una distinzione tra attività consentite ed attività sospese. In caso di contagio durante il lavoro, è certo che ai sensi del d.lgs 231/2001, l’esercizio illegittimo di un’attività sospesa condurrebbe la società in un terreno denso di problematiche per nulla di poco conto.
Presupponendo che l’attività della società rientri tra quelle non sospese, è necessario far fronte all’ipotesi del potenziale contagio. L’attività di compliance dovrà considerare il fatto che qualsiasi momento lavorativo potrebbe svolgersi a contatto con portatori di Covid-19 ed il rischio contagio è accentuato dal fatto che la malattia possa assumere una forma c.d. “asintomatica”. Dunque, dipendenti, collaboratori e contatti esterni sono potenzialmente esposti ad agenti biologici in qualsiasi frangente professionale.
La società avrà l’onere di adeguarsi alle misure imposte dai Decreti in oggetto al fine di contenere e gestire l’emergenza.
Tutte le società dovranno preferire il lavoro agile dei dipendenti, la fruizione di ferie e congedi retribuiti come richiesto dall’Ordinamento in modo da evitare il più possibile ogni forma di contagio sul luogo di lavoro. Infatti, qualora un dipendente contraesse una forma grave di Covid-19 in sede aziendale, pur potendo svolgere attività lavorativa a distanza, potrebbe essere addebitata alla società una responsabilità per illecito amministrativo dipendente da reato.
Qualora la presenza del dipendente sul posto di lavoro non fosse in alcun modo derogabile, vanno poste scrupolosamente in atto tutte le misure di prevenzione e contenimento esposte nei decreti. Dunque l’ente dovrà dotarsi di protocolli di sicurezza anti-contagio, rispettare le distanze di sicurezza e, ove non possibile, adottare strumenti di protezione individuale. Oltre alla pulizia giornaliera e alla sanificazione dei locali, sarà necessario collocare in disponibilità dei lavoratori mezzi idonei per detergere le mani e attenersi a tutte le indicazioni riguardo agli strumenti di prevenzione e protezione emanati dal Governo.
E’ altamente consigliabile predisporre un’adeguata reportistica dei presidi posti in atto per la prevenzione di rischi specifici da Coronavirus in favore di una puntuale tracciabilità che potrebbe assolvere una funzione rilevante all’onere della prova. Per sganciarsi da ogni potenziale addebito il datore di lavoro non solo dovrà dare massima evidenza documentale alle misure poste in atto, ma anche procedere a verificarne il rispetto e in caso di violazione ingiustificata delle norme, darà seguito ad una contestazione disciplinare.
Il ruolo dell’RSPP (istituito ai sensi dell’art. 31 e ss. d.lgs. 81/2008) assume rilievo ancor maggiore allo stato attuale. I doveri di informativa generale, che sono previsti e prescritti dal T.U. sulla Sicurezza sul Lavoro devono essere trasmessi alla società e di conseguenza ai suoi dipendenti e collaboratori in modo regolare e aggiornato.
A seguito del Decreto del 14 marzo 2020, le organizzazioni datoriali e sindacali hanno sottoscritto il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”; trattasi, di linee guida condivise tra le parti sociali per agevolare le imprese nell’adozione delle misure di sicurezza anti-contagio legate agli effetti, per l’appunto, del d.P.C.M. del 11 marzo 2020. Il protocollo ha previsto l’istituzione di un Comitato ad hoc per l’applicazione e la verifica della regolamentazione.
A tal proposito, sorgono interrogativi su come dovrebbe comportarsi l’Organismo di Vigilanza (O.d.V.) in tale miscelato contesto normativo. Considerata la situazione, fondamentale è il ruolo che ricopre, di controllo sull’adozione e sul rispetto delle misure adottate dalle varie funzioni competenti, oltre che di coordinamento e gestione dei vari flussi informativi, sebbene non sia tenuto, considerando il ruolo di vigilanza che svolge, a sostituirsi nell’espletare compiti specifici individuati dall’organizzazione aziendale.
Nel complesso, è dunque necessaria la valutazione di diversi elementi in grado di incidere sul rischio derivante da Covid-19 e l’idoneità del sistema dei controlli interni.
Di Valeria Marinuk, consulenza legale e attività di ricerca in diritto penale dell’economia, transnazionale e politiche pubbliche per la sicurezza finanziaria
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