giovedì, Novembre 21, 2024
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La Privacy: prossima vittima del Coronavirus?

Coronavirus e protezione dei dati: la legittimità delle misure va valutata sull’effettivo bilanciamento tra il diritto alla privacy e quello alla salute.

La questione della privacy entra nella gestione dell’emergenza, come il virus nel corpo sociale. O forse no, piuttosto come un antivirus. Se l’autorità politica, e a seguire la pubblicistica di questi giorni, parla di guerra, e sembra proprio così, la metafora bellica va forse coniugata con una più confortante e in ultima analisi più accettabile connotazione: guerra certo, ma per la vita. Delle persone, delle comunità locali, dell’intera collettività nazionale.

Il nemico c’è, ma è dentro di noi. Non fuori.

E allora la domanda che corre al fondo delle nostre ipersollecitate sensibilità è questa:

cosa siamo disposti a tollerare per vincere la guerra?

Tutto? Come si fa in Cina, peraltro, senza che la domanda sia mai stata posta all’opinione pubblica (che non c’è), ai cittadini (che cittadini non sono), alla collettività del popolo (soggetto in questo caso quanto mai astratto e retorico).

Quasi tutto? Ecco il modello coreano (del Sud), straordinariamente efficace dalle curve statistiche.

Molto? Come pensano tanti di noi, ma senza rinunciare mai alle libertà costituzionali e a una tutela della privacy che può adattarsi ma mai eclissarsi.

In Italia, il Governo sta valutando l’ipotesi di consentire controlli ex post sui movimenti dei telefoni cellulari per la durata della pandemia attraverso una app, sia per verificare il rispetto della quarantena e la veridicità delle autocertificazioni, sia come deterrente.

Con ciò ricalcando (in apparenza) le misure adottate da Seul ma senza arrivare a “spiare” i singoli cittadini attraverso i relativi dati sanitari, l’uso della tecnologia con applicazioni mobili e attingendo a Gps o carte di credito per creare una mappa del contagio.

La misura (oltre che complessa da realizzare) comporterebbe una deroga alla normativa sulla privacy, in quanto permetterebbe di svolgere verifiche attraverso l’identificazione di singoli utenti telefonici, in via temporanea, su base anonima e non identificativa di soggetti con finalità meramente statistiche e non di controllo. Almeno così nelle intenzioni.

Le deroghe al divieto generale di trattare le cosiddette “categorie particolari di dati” sono da individuarsi nell’art. 9 del Regolamento UE n. 2016/679 sulla Protezione dei Dati (il cd. GDPR) che elenca una serie di eccezioni che rendono lecito il trattamento di alcune categorie di dati, tra cui i dati sanitari relativi alla salute, in presenza di fattispecie tipizzate, in particolare:

per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale.

Inoltre, il considerando n. 52, prevede che

la deroga al divieto di trattare categorie particolari di dati personali dovrebbe essere consentita anche quando è prevista dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, fatte salve adeguate garanzie, per proteggere i dati personali e altri diritti fondamentali, laddove ciò avvenga nell’interesse pubblico, in particolare […] per finalità di sicurezza sanitaria, controllo e allerta, la prevenzione o il controllo di malattie trasmissibili e altre minacce gravi alla salute […].

E’ evidente quindi che la legittimità delle misure va valutata sull’effettivo bilanciamento tra due diritti fondamentali: il diritto alla privacy e quello alla salute.

Al riguardo, il Presidente Antonello Soro dell’Autorità garante per la privacy si è più volte espresso sostenendo che misure come il modulo per l’autocertificazione possono essere considerate tra le limitazioni necessarie per contrastare il rischio di contaminazione epidemiologica, in un’ottica solidaristica e preventiva, che devono venir meno cessata l’emergenza. Ma proposte di tracciamento massivo digitale dei cittadini, con l’utilizzo di app specifiche, possono essere considerate soltanto se supportate da progetti concreti, perché trasferire meccanicamente il modello cinese, con la sua sorveglianza totale, o quello coreano con una cultura di fondo, sociale e giuridica, molto distante dalla nostra può essere un serio pericolo per la democrazia.

Allo stesso modo, con una nota del Comitato europeo per la protezione sui dati, la Presidente Andrea Jelinek ha richiamato al rispetto dei principi di proporzionalità e di reversibilità rispetto all’ipotesi di poter controllare con una “app” i movimenti dei cittadini europei per limitare la diffusione del Coronavirus.

Tuttavia, le regioni italiane sembrano, allo stato, agire in autonomia. Alcune hanno già messo in funzione i droni per sorvegliare il rispetto delle misure decise dal Governo nazionale per il contenimento e il contrasto all’epidemia di Coronavirus. Il trattamento di dati personali raccolti tramite aeromobili a pilotaggio remoto presenta rischi specifici, che richiede (con riferimento generale al tipo di trattamento) una verifica preliminare dell’Autorità sulla privacy. Tale verifica è stata fatta caso per caso?

Già la Regione Lombardia nelle scorse settimane aveva adottato un metodo di controllo degli spostamenti degli abitanti sul territorio utilizzando le celle telefoniche e, alle polemiche che si sono sollevate rispetto alla questione privacy, i governatori locali hanno risposto che si tratta di trattamento di dati anonimi che descrivono i flussi di mobilità ma non identificano le persone. Esiste quindi un equilibrio pencolante tra la tutela dell’interesse pubblico e il diritto alla riservatezza che non può risolversi in una mera negoziazione tra coloro che difendono la privacy e quelli che invece vogliono combattere l’epidemia. Su quale strada il Governo intenderà procedere è questione dei prossimi giorni (o meglio delle prossime ore).

Di avv. Marika Di Biase

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Vedi anche https://www.asfinanza.com/coronavirus-il-contagio-economico-cosa-ci-insegna-la-cina/

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