Corte Costituzionale, sent. n. 245 del 29 novembre 2019.
Nell’ambito di un ricorso volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, proposto ai sensi dell’art. 6, comma 1, primo periodo, della legge n. 3 del 2012, è stato richiesto un parere di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale.
La richiesta in particolare, interviene nella fase di valutazione dell’ammissibilità del ricorso, prevista dall’art. 10 della legge n. 3 del 2012, nel corso della quale occorre verificare la presenza dei requisiti pregiudiziali previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della stessa il rimettente rimarca che tra le poste di credito privilegiate, oggetto della falcidia proposta dal debitore, figura anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (IVA), garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2752, terzo comma, cod. civ.
La domanda alla Corte Costituzionale era di verificare la legittimità costituzionale dell’art. 7 legge 3 del 2012 ovvero delle (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), per quanto riguarda l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto).
Questa proposta specifica del debitore sarebbe di fatto in conflitto con quanto imposto dalla norma censurata, secondo la quale, avuto riguardo a siffatta pretesa tributaria, il piano «può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».
Infatti tra le poste di credito privilegiate – che il piano propone di soddisfare solo parzialmente – figura anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (IVA), garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2752, terzo comma, del codice civile.
E’ appunto questa proposta di pagamento parziale che provoca il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Udine: essa si pone, infatti, in immediato contrasto con la regola dettata dall’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012, pregiudicando l’ammissibilità del ricorso.
La normativa dettata per l’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile prevede la generale falcidiabilità dei crediti tributari, privilegiati e chirografari, ma, a differenza della legge fallimentare, la esclude in riferimento al regime dell’IVA.
Non convince l’affermazione di principio che assegna natura eccezionale alla regola della falcidiabilità dell’IVA, attualmente prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare, anche in sede di concordato preventivo (sul punto, le sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 760 del 2017 e n. 26988 del 2016).
A ben vedere tale ultima disposizione non prevede letteralmente la possibilità di procedere ad una soddisfazione parziale dell’IVA; piuttosto, non replica più l’originale divieto di falcidia previsto, tra gli altri, per tale tributo, in un quadro di generale falcidiabilità dei crediti tributari, chirografari e privilegiati. L’art. 182-ter della legge fallimentare non detta, dunque, una specifica regola che possa, in via di eccezione, derogare ad un principio generale.
Costituisce, per contro, diretta espressione di una indicazione generale, altro non rappresentando che una diretta declinazione, in relazione alle pretese tributarie, della regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, prevista dall’art. 160, comma 2, della stessa legge in tema di concordato preventivo. Principio, quest’ultimo, che, come già rimarcato, deve ritenersi espressione tipica delle procedure concorsuali, maggiori o minori, con finalità esdebitatoria, tanto da risultare replicato anche per gli strumenti di definizione anticipata delle situazioni di sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 2012. 14.– Di qui la fondatezza della questione posta in riferimento all’art. 3 Cost. Resta assorbita la censura riferita all’art. 97 Cost. 15.– L’accoglimento della questione porta, in coerenza, all’ablazione delle parole «all’imposta sul valore aggiunto» dal terzo periodo del comma 1 dell’art. 7 della legge n. 3 del 2012.
La Corte definitivamente dichiara:
“l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: «all’imposta sul valore aggiunto»”.
Questo in sintesi quanto definito dalla sentenza della Corte Costituzionale. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla lettura della sentenza.
Di Giorgio Palombi, Suero&Partners.
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